Comunicare e parlare (troppo): differenze silenziose

comunicare e ascoltare

Nei numerosi articoli che parlano di comunicazione e marketing, c’è quasi sempre la tendenza a focalizzarsi sui contenuti, il tono di voce, il giusto canale, il piano editoriale. Certo sono tutti strumenti essenziali, ma quello che spesso non viene detto è che si tratta solo della punta dell’iceberg. Prima di arrivare a questi ingredienti, c’è una fase molto più importante che merita tutta la nostra attenzione.

La nobile e umile arte dell’ascolto

Uno dei – tanti – problemi della società contemporanea è che abbiamo perso la capacità di ascoltare. Siamo così presi dalle cose che abbiamo da dire che non prestiamo troppa attenzione a quello che ci viene detto. Abbiamo dimenticato che l’ascolto è la forma più alta di comprensione.

La comunicazione è uno scambio: senza scambio essa si riduce a un puro atto di autocelebrazione. Questa forma di sordità colpisce tante persone, anche chi lavora con le parole. Personaggi pubblici, docenti, ma anche pubblicitari, copywriter e content manager: il focus è così concentrato sui propri messaggi da non badare al pensiero altrui e alle risposte dei destinatari.

Parte così il circolo vizioso delle risposte senza ascolto. E la ragione dell’inefficacia di tante strategie, è probabile che nasca da qui.

comunicazione e ascolto

Rispondere senza ascoltare?

Stephen Covey è stato uno scrittore statunitense noto soprattutto per il bestseller “The Seven Habits of High Effective People”. Nel suo saggio del 1989 l’autore ha raccolto sette regole di vita per migliorarsi e avere successo.

La regola numero 5 è molto interessante: Seek First to Understand, Then to Be Understood, cerca prima di capire e poi di farti capire. Covey sottolinea che la maggior parte delle persone non ascolta per comprendere, ma per rispondere.

Il senso è semplice. Immaginati in una conversazione: mentre il tuo interlocutore ti sta parlando e spiega il suo punto di vista, tu inizi a pensare a una risposta e – che tu lo voglia o no – smetterai ben presto di ascoltare davvero e, così, anche di comprendere a fondo il pensiero altrui. La tua unica priorità è solo quello che tu hai da dire.

ascolto competitivo

Già negli anni ’50 il giornalista William H. Whyte scriveva proprio di questo sulla rivista americana Fortune. Il risultato di questa mancanza di ascolto, secondo lui, non può essere chiamato comunicazione quanto, piuttosto, una sua mera illusione. Prestiamo orecchio solo fino a quando abbiamo raccolto materiale sufficiente per controbattere, con un tipo di ascolto che viene spesso definito “competitivo”: le risposte servono solo per controbattere ed esporre le proprie opinioni.

Cosa significa ascoltare

Nell’epoca di internet e dei social network questa incapacità di comprensione si è trasferita anche alla parola scritta. In questo mondo sempre più digitale i messaggi si sono moltiplicati all’infinito. Siamo sommersi di parole, immagini, post, video, e in questo oceano navighiamo su fragili vascelli per affrontar del mondo la burrasca, per dirla alla De André.

La nostra scialuppa di salvataggio? Riscoprire il valore dell’ascolto, e rimetterlo al primo posto nella comunicazione.

Ascoltare non vuol dire solo sentire quello che gli altri ci stanno dicendo, o attendere una risposta a quello che abbiamo detto. Vuol dire capire prima di parlare, studiare bisogni, desideri, paure ed emozioni di chi potrebbe ascoltarci.

Per chi si occupa di comunicazione questo ascolto preventivo è fondamentale. Come per qualsiasi altra forma di espressione, il momento di analisi e studio ha un’importanza ancora più rilevante rispetto all’esposizione.

empatia e comunicazione

Empatia pensaci tu

Dimenticare l’importanza dell’ascolto indebolisce la comunicazione. Se non siamo in grado di capire i messaggi che ci circondano (e di sentirli a un livello profondo) non potremo mai creare un punto di contatto reale con gli altri. E questo vale sia per la comunicazione professionale che per la vita di tutti i giorni.

Troppo spesso ci facciamo prendere dalla frenesia di dire quello che pensiamo senza preoccuparci di capire il mondo intorno a noi. Il risultato è un moltiplicarsi di risposte vuote, di dialoghi senza confronto, di messaggi buttati al vento. Bisogna andare oltre il semplice sentire e riscoprire il valore dell’ascolto. Come diceva Covey nella sua regola scritta trentanni fa, ma ancora attualissima: bisogna capire, per farsi capire.

Uno dei miei valori è proprio l’empatia.

Vestire i panni degli altri è fondamentale per fare bene questo lavoro. È per questo che dedico molto tempo a conoscere i miei clienti. Prima di capire cosa posso fare per loro ho bisogno di sapere il più possibile sui loro progetti e ambizioni, sulle loro paure e la loro storia.

Non si tratta solo di una rapporto tra aziende. Tutti i gruppi di lavoro sono fatti di persone che portano il loro bagaglio culturale, intellettuale ed emotivo sempre con sé.

 

È proprio la dimensione umana quella che mi interessa di più. Ognuno, con sfumature diverse, dà il proprio contributo fondamentale, e sappiamo che bisogna ascoltare ogni voce disponibile per capire davvero. Solo con l’ascolto possiamo davvero stabilire una connessione.

È così che sviluppiamo l’empatia quando lavoriamo. Ascoltare, analizzare e comprendere sono i primi tre passi di ogni nostro buon progetto. Il quarto passo?

Una strategia di comunicazione che racconti davvero chi sei. Costruiamola insieme, da qui.