Coronavirus e linguaggio: l’alba di un nuovo vocabolario

vocabolario del coronavirus

A cambiare, in questi ultimi mesi, non sono state solo le abitudini degli Italiani. Il Covid-19 ha scavato a fondo in quasi tutti gli aspetti della nostra quotidianità: dal lavoro alla scuola, dalla vita sociale al modo di fare la spesa, e dalle emozioni fino alla nostra lingua.

Scommettiamo che anche per te la mascherina non è più quella di carnevale, la curva non è solo quella della strada e non associ più l’aggettivo positivo per forza a qualcosa di buono. In modo impercettibile ma velocissimo, questa pandemia ha cambiato i connotati della lingua –non solo l’italiano, ma tutte le lingue del mondo – introducendo neologismi, rendendo comuni termini che non lo erano e aggiungendo loro nuovi significati.

Noi che con le parole ci lavoriamo non possiamo certo ignorare questo cambiamento. Nessuno, in realtà, dovrebbe farlo. Per questa ragione, se hai a cuore la comunicazione coi tuoi clienti, assicurati di rimanere sempre al passo con ogni trasformazione del contesto in cui operi. Come, per l’appunto, la nascita di un nuovo dizionario condiviso.

crisi e cambiamenti linguistici

Come le crisi cambiano il modo di parlare

La lingua è un ecosistema in continua evoluzione, anche se fatichiamo a rendercene conto perché si tratta di un processo lento e graduale. A parte casi diventati famosi – come il “petaloso” inventato da un bambino e approvato dall’Accademia della Crusca – di solito le variazioni linguistiche procedono di pari passo con quelle culturali, e lo fanno senza dare troppo nell’occhio.

Al contrario, in momenti di crisi storica e sociale come quello che stiamo attraversando ora, tutto accade in modo più rapido ed evidente. Non è certo la prima volta, infatti, che il vocabolario acquisisce nuovi termini o dà significati inediti a quelli già utilizzati. È accaduto durante i grandi conflitti del passato – sapevi che prima della Seconda Guerra Mondiale “radar” non era una parola di uso comune? – ma anche in occasione di crisi economiche o governative, come la recente Brexit.

La creatività linguistica in tempi di stravolgimenti socio-culturali rispecchia le preoccupazioni dell’epoca e come gli individui le fronteggiano. Nel caso del coronavirus tutto è stato amplificato da due fattori:

  1. l’isolamento sociale globale
  2. la diffusione della tecnologia.

Forse per la prima volta nella storia siamo stati costretti in massa a smettere di comunicare attraverso i gesti e la vicinanza fisica, ed ecco che – per sentirci più uniti – abbiamo iniziato a usare le parole con maggiore intensità. Parole insolite che sono rimbalzate di bocca in bocca fino a diventare quotidiane, parole nuove legate a questa condizione specifica, e parole che hanno acquisito significati diversi rispetto a quelli che già conoscevamo.

Parole che ci fanno sentire parte di un’unica comunità, che condivide un’esperienza mai vissuta prima – quella del lockdown come condizione estesa a tutto il mondo – e i sentimenti che porta con sé.

E sì, forse l’hai notato: anche lockdown è una di queste parole.

La tecnologia non ha fatto altro che rendere tutto più veloce, ampliando la rete di connessioni e facendola uscire dai confini nazionali. Ecco perché un termine come quello appena citato è diventato parte del nostro dizionario nel giro di poche settimane. Ma non è certo l’unico esempio.

lockdown coronavirus

Il dizionario del coronavirus

Fra termini dal significato stravolto e altri nati da zero, dare uno sguardo a come il nostro modo di parlare sia cambiato in questi mesi può aiutarci a comprendere meglio l’impatto dell’esperienza-pandemia sulle nostre vite. La stessa Treccani ha realizzato un vero e proprio elenco delle parole che caratterizzano il panorama semantico del covid-19.

Qualche esempio?

  •       Curva: un termine usato soprattutto per riferirsi a una strada che devia verso destra o sinistra, ora ci fa pensare subito all’andamento dei contagi, dei decessi e delle guarigioni.
  •       Picco: non è più solo il punto estremo della montagna, ma anche – e soprattutto – il temutissimo valore massimo della curva di contagi.
  •       Tampone: da assorbente igienico femminile, ora è la cartina di tornasole che dà una risposta all’ansia da contagio.
  •       Mascherina: prima relegata al periodo carnevalesco o alle “stravaganti” (per noi) abitudini degli asiatici di andare in giro con la bocca coperta dalla stessa mascherina che oggi indossiamo anche noi. Oggi non soltanto dobbiamo ricordarci di portarla sempre con noi, ma si sta anche trasformando in un accessorio di moda, e ne conosciamo modelli, formati, tessuti e livello di efficacia.
  •       Positivo: questo aggettivo è passato da una connotazione buona al 100% a una che può fare riferimento anche a tematiche portatrici di preoccupazione e paura, se non contestualizzata. Pensa a una persona ferma al centro di una piazza mentre urla: “Sono positiva!”. Come interpreteresti le sue parole? Penseresti di avere davanti l’ennesimo contagio da covid-19, oppure qualcuno di particolarmente ottimista?
  •       Virale: negli ultimi anni si usava questa parola solo per indicare contenuti che in poco tempo diventano popolari su internet, mentre la pandemia l’ha fatta tornare al suo significato etimologico originale, associato al concetto di diffusione di un virus.

Per non parlare di tutti i termini legati appunto alla virologia e alla medicina, che hanno invaso le bacheche social e non solo. O di “quarantena”, che improvvisamente è diventata una delle parole più diffuse e attuali, forse ancora più di quando è stata coniata nel 1400 come procedura per decontaminare le navi attraccate al porto di Venezia.

Infine ci sono i neologismi, che spesso si intrecciano con gli anglicismi dato che – come dicevamo poco fa – la tecnologia ha reso questa esperienza ancora più collettiva di quanto già fosse.

Di certo ti è capitato di vedere sui social post di amici e conoscenti che riportavano termini come quaranteam o quarantimes, a indicare le persone con cui si era chiusi in casa o il periodo di isolamento. O ancora il Quarantini, drink dal nome neo-coniato da sorseggiare in casa all’ora dell’aperitivo. E forse hai sentito – o pronunciato – l’appellativo covidiota, riferito a chi non rispetta le norme comportamentali per prevenire la diffusione del virus.

Come quando, da piccoli, si inventava un alfabeto speciale per parlare in codice col migliore amico, allo stesso modo questa pandemia ha introdotto una maniera di comunicare tutta particolare. Non possiamo prevedere se resisterà o meno nel tempo, ma una cosa la sappiamo con certezza: questi vocaboli e il significato che portano con sé fanno parte del presente di tutti. Il nostro, il tuo e quello del tuo pubblico.

diffondere positività ai tempi del coronavirus

Di guerra e altre metafore

Un altro effetto del coronavirus è stato quello di generare una cascata di metafore, usate sia sui media che nella comunicazione interpersonale. Paragonare una situazione sconosciuta come questa ad altre già note è un modo per darle un senso. Le metafore costituiscono una specie di cornice in cui ogni elemento ha un ruolo e un posto specifico.

La più diffusa è sicuramente quella che parla della pandemia come di una guerra, col virus come nemico e il personale sanitario in prima linea a combatterlo. Non è difficile intuire come questa visione faccia leva su sentimenti atavici e negativi, sul senso di oppressione e paura.

Alcuni linguisti si sono allora chiesti se ci fossero altre metafore dalla connotazione positiva, utili a – o utilizzate per – inquadrare la situazione attuale. Una di loro, Veronika Koller della Lancaster University, ha lanciato su Twitter l’hashtag #ReframeCovid per avviare uno studio sul linguaggio abbinato alla pandemia, al quale chiunque può contribuire e che colleziona testimonianze da tutto il mondo.

E così scopriamo che, in Italia, la pandemia viene raccontata anche con la metafora che associa il virus al fuoco (dove i sanitari sono i pompieri che devono spegnerlo) o a una bestia sfuggente e difficile da domare. Oppure al nascondino, con l’ormai celebre riferimento al fatto che l’allentamento del lockdown non è un “tana libera tutti”. Infine, potevamo noi italiani non coniare un paragone basato sul calcio? La partita contro il virus è tuttora in corso, e come tutti i match finirà al 90° minuto… che deve ancora arrivare.

 

E la comunicazione aziendale, come cambia?

In un contesto in evoluzione così veloce, anche dal punto di vista linguistico, chi ha un’azienda non può continuare a fare ciò che ha sempre fatto e sperare di ottenere buoni risultati. La strategia di marketing, così come la comunicazione, va aggiustata e adattata al presente, aggiungendo un’ulteriore dose di empatia e tatto, ancora più forte rispetto al solito.

Siamo fortunati perché, se prestiamo la giusta attenzione, questi cambiamenti linguistici ci dicono molto di come il nostro pubblico si senta in questo periodo, e di quali siano i suoi bisogni pratici ed emotivi. Tu, in quanto imprenditore, puoi usare la tua sensibilità per cogliere le necessità del tuo target. E i professionisti delle parole possono aiutarti a comunicare in modo efficace – anche in tempo di crisi.